In “Opinioni di un clown” l’autore Heinrich Boll scrive: “Le valigie aperte mi guardano come delle bocche spalancate che vogliono essere nutrite”.
Chi, come me, è nomade non solo sessualmente ma soprattutto
geograficamente, le sue valigie le ha rimpinzate più di una volta Ecco
allora una dolce meta da raccontare (preferisco le dolci mete alle
dolci metà!).
Vi porto a Baile Atha Cliath...
no, non preoccupatevi, non vi sto mandando a quel paese... è il vecchio
nome di Dublino, capitale della Repubblica d’Irlanda. Ci arrivo con un
volo Ryanair (più economico di un taxi), poso i bagagli nella “Othello
House”, alberghetto a due stelle sulla Lower Gardiner Street, tipica
residenza georgiana con il pavimento in travi di legno che scricchiola
sotto la moquette...che all’inizio mi ero preoccupata, pensavo fossero
le mie ossa!
Munita di guida tascabile, di sciarpa e guanti vado alla scoperta dell’arte a Dublino. Importante è il “Book of Kells” che si trova a Trinity College: è una
Bibbia del IX secolo stupendamente miniata in oro e pergamena... la
scrittura però è difficilmente decifrabile, peggio della ricetta medica
di un dottore della ASL! Meglio fare una capatina al National
Museum e ammirare gli ori dell’Irlanda all’età del Bronzo (la stessa
epoca alla quale risale la mia verginità): fermagli lavorati
stupefacenti, orecchini, collane... proprio vero che il
desiderio di adornarsi è nel dna dell’uomo e della donna sin dalla
remota antichità... prototipi antichi delle moderne drag-queen! Vicina è la National Gallery dove ci sono alcuni capolavori da non perdere: “La cattura di Cristo” del Caravaggio (realistiche le vene sulle mani, gli sguardi, le unghie sporche e lo stesso autore che si è autoritratto ad osservare Giuda traditore mentre bacia Gesù); più pagano è “Nozze Paesane” di Brueghel il Giovane
(una festa contadina con tanto di abbuffata, bevuta, balli e uno
sporcaccione che infila le mani sotto le vesti di una signora); più
scuro è “Il riposo in Egitto” di Rembrandt (a fatica
nell’oscurità di una selva si distingue il fuoco al quale si riscaldano
altri nomadi: Maria e Giuseppe). Adesso ho fame, vado a mangiare alla “Old Inn”
di fronte alla Christ Church, mi metto di fronte al camino acceso
(senza carbone, sono finti, sotto ci sono i tubicini del gas), mangio un Irish Stew, stufato di manzo con carote e patate (i ristoranti meglio sceglierli accuratamente, non è facile mangiare bene a Dublino!).
Mi rimetto in cammino: prendo la Dart, la metropolitana leggera in superficie e vado a Dun Laoghaire, una decina di chilometri dalla città, a vedere la torre dove James Joyce ha ambientato il primo capitolo del suo “Ulysses”:
è un semplice torrione grigio, chiamato “Martello Tower”, dove nel 1904
abitò Joyce per breve tempo e in cui c’è anche un museo a lui dedicato.
Il torrione costiero si affaccia sul mare d’Irlanda, spesso agitato,
mare che Joyce definisce “dolce madre grigia”.
D’altronde
è impossibile visitare Dublino senza mettersi sulle orme del grande
scrittore irlandese, nel senso che proprio sull’asfalto ci sono molte
placche dorate con citazioni tratte dal romanzo proprio nei luoghi
descritti. C’è un vento così forte che ho paura prima o poi mi
porti via... per fortuna che ultimamente ho messo qualche chiletto in
più! Torno a Dublino, ormai è sera, vado nella zona più frequentata dai
giovani, Temple Bar, c’è un tipico pub irlandese, The Oliver St.John Gogarty,
tutto giallo catarifrangente, con le bandiere, le piante alle finestre
e musica folk suonata dal vivo. Mangio del salmone affumicato (una
specialità da queste parti) e un sauté di frutti di mare e crostacei
accompagnati da un boccale di Guinness, la tipica birra scura la cui
fabbrica a Dublino è visitabile e della quale è bellissimo vedere il
movimento della schiuma subito dopo la mescita.
Buona Dublino a tutti!