BAZAR SEGNALA
CAOS CALMO – Sandro Veronesi (Bompiani. 454 pp., 17,50 euro)
Sandro Veronesi
è un caso unico in Italia. Uno che non scrive mai libri che si
somigliano. Uno che non insegue la bella pagina, quella infarcita di
frasi rotondamente perfette, zeppe di vocaboli preziosi. Uno che osa,
che prova a vedere cosa succederebbe se.
Si prenda per esempio
l’inizio del suo ultimo romanzo. Pietro, nel bel mezzo di un drammatico
tentativo di salvataggio di una donna che sta annegando, spremuta ogni
energia, ormai prossimo alla resa, viene colto da un’improvvisa quanto
salvifica eccitazione causata dalla forzata pressione dei suoi genitali
contro il sedere femminile. Compiuta l’operazione, torna a casa e
assiste impotente alla morte della moglie. Rientrato a Milano,
accompagna la figlia Claudia a scuola e, al momento di lasciarla, si
accorge semplicemente di non poterlo fare.
Così, inizia un periodo
in cui Pietro, come un soldato su una garitta, presidia la scuola per
sorvegliare Claudia: dovesse succederle qualcosa, lui sarà lì. Parenti,
amici, colleghi, lo considerano esaurito. Poi, constatando che tutto
sommato non se la passa peggio di loro, diradano le visite, cominciando
anzi a sfruttarle per sfogare le loro sofferenze. Considerato che
Pietro è manager di una multinazionale, di lì a poco emergeranno
intrighi e complotti di natura professionale e l’eterno conflitto tra
lealtà e ambizione.
Ma il romanzo è pieno di dilemmi
etici, situazioni comiche, personaggi eccentrici che si dibattono nel
caos calmo della vita presente. In cui può capitare che i morti comunichino attraverso le canzoni dei Radiohead.
Finché la spontanea osservazione di una bambina non fa scoccare l’ora
di essere adulti. E lascia noi a desiderare – infantilmente – il
prossimo Veronesi.
Colonna sonora: STEVIE WONDER A time to love
TALENT SCOUTING
PURO VELENO – Silvio Bernelli (Sironi editore. 198 pp., 13 euro)
Al
giorno d’oggi, non c’è da stare allegri. Sarebbe da incoscienti, con
tutto quello che accade nel mondo. La giovane narrativa italiana lo sa
e si adegua, mettendo in campo storie deprimenti: infanzie devastate
dalle eccessive attenzioni parentali, adolescenze inquiete di sesso
sempre più precoce ed estremo, trentenni in crisi esistenziale per il
cambio del volto del bambino sulle tavolette Kinder. Perciò, ogni
tanto, fa piacere qualche romanzo in controtendenza come quello di Silvio Bernelli. Dove al
protagonista va tutto bene, come al cugino di Paperino, Gastone. O
meglio, all’inizio va tutto bene. In un crescendo di sempre meglio. Poi
inaspettatamente la situazione precipita, lasciando presagire una disfatta. Ma alla fine le cose si rimettono a posto e il nostro eroe vive felice e contento.
Un
lieto fine meritato, quello di Davide. Per la tenacia, per la forza
dell’amore che lo lega a Liliana, la moglie che senza avvisaglie lo ha
lasciato per un altro. Intanto la carriera di Davide spicca il volo.
Già in ascesa per la rubrica di stroncature cinematografiche “Curaro”,
che tiene su un quotidiano di Torino, è chiamato a condurre un
programma dello stesso tenore sul maggior network radiofonico
nazionale. E forse è questa la parte più riuscita: la fotografia
irriverente quanto nitida della evanescenza di un certo mondo
dell’informazione che ruota attorno allo spettacolo, rutilante e
autoreferenziale, animato com’è da nani e ballerine. L’animatissima
Torino come sfondo e una spessa patina di brillante ironia,
confezionano un libro leggero quanto gradevole.
Colonna sonora: AMARI Grand Master Mogol
PENSARE LEGGENDO
DALLO STEINHOF – Massimo Cacciari (Adelphi. 258 pp., 28 euro)
“Con
quella faccia un po’ così/quell’espressione un po’ così/che abbiamo
noi/che abbiamo visto Vienna/che ben sicuri mai non siamo/che quel
posto dove andiamo/non c’inghiotte e non torniamo più”. Non ce ne vorrà il sindaco più colto d’Italia, il veneziano Massimo Cacciari,
se chiudendo il suo libro, scritto 25 anni fa e ripubblicato oggi in
un’edizione riveduta, ci sono affiorate alla mente parole e note della
canzone di Paolo Conte. Forse per stemperare un po’ il tono
grave, del tutto privo d’ironia (anzi, tra le righe, incline
all’invettiva polemica contro certe interpretazioni del passato) che
impernia questa sua importante opera giovanile. Dedicata agli uomini
postumi che hanno animato la scena culturale viennese tra la fine
dell’800 e i primi ventenni del ‘900. Quale la loro peculiarità?
Secondo la definizione nicciana,
quella di porsi in muto – quasi attonito - ascolto della realtà al fine
di coglierne la vera essenza. Obbiettivo non facile in ogni tempo, ma
in particolare nell’ambito dell’impero austro-ungarico, gravido com’era
di maschere sociali. Per affinità poi Cacciari allarga il campo
dell’indagine, includendovi figure di artisti non viennesi come lo
svizzero Walser, il ceco Kubin o i tedeschi Junger e Hesse.
Doverosa è un’avvertenza: nonostante gli sforzi dell’autore di “ridurre l’abuso alquanto feticistico di termini tedeschi”, il
libro risulta godibile solo se si è frequentato Nietzsche e
Wittgenstein, l’architettura e l’arte della Secessione viennesi, i
romanzi di Roth, le favole di Altenberg, gli aforismi di Kraus. O magari no: a chi non l’abbia già fatto, viene voglia di leggere L’uomo senza qualità di Musil. Speriamo.
Colonna sonora: GIULIANO PALMA & BLUEBEATERS Long Playing
UPPER READERS
VOCI FUORI CAMPO – Ali Smith (Feltrinelli. 276 pp., 16,50 euro)
Quelli
che… il romanzo è morto. Quelli che… la cultura occidentale è al
tramonto. Quelli che… non ci sono più storie che valga la pena
raccontare. Quelli che… in letteratura non è più possibile alcuna
sperimentazione. Di tutti loro, in un sol colpo, si fa beffe la
scozzese Ali Smith con il suo ultimo libro. Che se fosse un animale, sarebbe un’anguilla, indomito e sguisciante com’è a univoche interpretazioni. Ma non è così anche la vita? E forse, per raccontarla, non si deve che “trovare il semplice nel complesso, il finito nell’infinito”. Nella consapevolezza, a lavoro ultimato, che “è incredibile che una foto duri per sempre: in realtà è una prova che niente dura più di un millesimo di secondo”.
C’è una famiglia in vacanza nel Norfolk, campagna inglese. Ci sono i 2 figli. La tredicenne Astrid
che parla poco, si fa tante domande a cui non sa rispondere e filma
tutto ciò che la circonda con la sua telecamera. Suo fratello Magnus,
che grazie alle sue abilità informatiche l’ha combinata grossa e ora,
sprofondato in un irrisolvibile senso di colpa, si rifugia in un
immobile mutismo. E ci sono una madre scrittrice, che s’interroga sul
proprio successo editoriale e di moglie, e un secondo marito,
professore universitario fin troppo brillante, che seduce le sue
allieve. Insomma, un quadro di ordinaria scombinatezza. Finché
non irrompe una sconosciuta che, con la scusa dell’auto in panne, si
installa nella casa. Inutile dire che l’elemento perturbante produrrà
sconquassi. E il dibattito è aperto: la catarsi ha prodotto
risultati positivi o negativi? Intanto mette di buon umore il palpabile
stato di esaltazione narrativa di Ali Smith, che non esita a ricorrere
a ogni espediente immaginabile: dall’intervista alla poesia, dal
monologo interiore al cinema. Grande!
Colonna sonora: DEPECHE MODE Playing the Angel
OLD FASHION
LA CONTESSA SANGUINARIA – Alejandra Pizarnik (Playground. 59 pp., 7 euro)
C’è
un libretto diabolico. Efficace sin dalla copertina. Incandescente
sotto la cenere del tempo, essendo stato scritto nel 1971. Che
attrae e repelle. Anzi, che forse attrae proprio perché repelle. Un
poema in prosa che inscena delle finzioni, sonda il tema del doppio e
indaga il mistero della bellezza. Senza tentare di disvelarlo, semplicemente rappresentandolo. E’ La contessa sanguinaria, storia della nobile ungherese Erzebet Bathory,
vissuta nel XVII secolo, accusata di dissolutezze saffiche, nonché di
atti sadici culminati nell’uccisione di più di seicento giovani donne.
Badate,
qui non si cerca di capire le motivazioni di una patologia o di
storicizzarne la vicenda. Al contrario, se ne sfrutta appieno il mito
di versione al femminile del conte Dracula per esaltarne il potenziale
maligno: la pericolosità dell’essere umano libero di dare sfogo alla
propria ferinità. Rintracciando nella crudeltà assoluta - la
determinazione del torturatore cui si accompagna la remissività della
vittima – un atto esteticamente perfetto. Così, se i bagni di
purificazione nel sangue umano risultano insopportabili, non è tanto
alla luce del loro realismo, quanto per l’angosciante ritualità che li
costella.
E, ultimate le poco più di 30 pagine, indotti dalla loro
magia a rileggerle una seconda e terza volta, inevitabile dedicarsi al
tentativo di dipanare il groviglio esistenziale dell’autrice – la
poetessa argentina Alejandra Pizarnik – suicida a 36 anni. Essenziale, a tale scopo, la ricca postfazione di Francesca Lazzarato.
Colonna sonora: DIAFRAMMA Passato, presente
BAZAR COLLECTION
FRATELLI PER FORZA – Daniele Resini (Mondadori. 112 pp., 18 euro)
Sfatiamo
un mito. Per chi non lo frequenta, il rugby è semplicemente uno sport
violento, praticato da energumeni con poco sale in zucca tipo “La Cosa”
dei Fantastici 4, prelevati dalle strade dei ceti più popolari. Niente
di più sbagliato: il rugby è pieno di regole complicate fatte
tassativamente rispettare, capita di trovarvi atleti smilzi, è
fondamentalmente uno sport borghese. Ma soprattutto è sportivo,
il che, detto di uno sport, dovrebbe risultare pleonastico. Purtroppo
non è così. Si pensi al calcio, alle opposte tifoserie che ogni
domenica si affrontano dando vita a una socialmente tollerata
guerriglia urbana. Ebbene: sugli spalti dell’incontro di rugby più
sentito è normale trovare le due fazioni pacificamente mescolate.
Oppure al fatto che nel rugby se un giocatore commette una scorrettezza
palese ai danni di un avversario, i compagni di squadra, anziché
difenderlo dalle debite reazioni, lo abbandonano al suo destino. Può
apparire crudele, invece si tratta di lealtà,
rispetto dell’avversario. Ancora: nel rugby è basilare il gioco di
squadra. Pur esistendo delle star assolute, nessun Maradona potrebbe
conquistare palla in difesa, scartare 10 avversari e segnare una mèta,
senza una squadra più che solida accanto.
Insomma: il rugby è
umiltà e fatica, forza e velocità, tattica e intelligenza, desiderio e
utopia. E’ uno sport moderno e al tempo stesso tribale, come i riti
propiziatori maori eseguiti prima del match dagli All Blacks. Tutto
questo – e di più – trasuda dalle bellissime foto di Daniele Resini.
Colonna sonora: PAUL WELLER As is now