Forse per tentare di capire una metropoli così grande a più strati bisogna conoscere la pittura di Piet Mondrian, una sua composizione a scacchiera in vari colori.
E’
la stilizzazione ridotta all’essenza dei grattacieli di New York, una
città che si sviluppa in verticale come le piramidi d’Egitto, altissime
costruzioni che bisogna osservare non dall’alto ma dal basso, con la
testa in su e vedere questa lunga strada di finestre in vetro e acciaio che conduce al cielo.
In
Mondrian ogni casella della scacchiera è l’interno, un’abitazione di un
grattacielo di Manhattan; ogni colore diverso ne rappresenta l’unicità,
l’atmosfera casalinga di ogni singolo appartamento, delle persone che
rischiano di confondersi e mimetizzarsi tra le grandi folle che escono
dalla metropolitana o attraversano le enormi strade della città che non
dorme mai.
E’ difficile trovare appartamenti grandi o
terrazze a New York, sembrano tutti stanze di un grande hotel. Per
andare a trovare qualcuno bisogna essere ricevuti da un portiere alla
reception e dopo l’11 settembre può capitare che ti controllino la borsa. Anche per entrare in discoteca devi avere più di 21 anni, farti perquisire addosso e controllare il passaporto.
New York stordisce come un quadro schizzato di Jackson Pollock:
arrivi già rintontita dal fuso orario e se vuoi sconvolgerti basta
guardare le mille insegne pubblicitarie tridimensionali di Times Square
e bere un paio di “Martini Apple”: è un cocktail che adesso va
molto più di moda del vecchio “Cosmopolitan”: martini bianco, vodka e
succo di mela servito con una fetta di mela rossa sul bordo come si fa
con la fetta d’arancio, magari sul terrazzo del “Mandarina
Hotel” sulla Columbus Circle, con vista panoramica su Central Park e i
grattacieli illuminati di notte, effetto flipper.
New York è ripetizione, come le scatolette di zuppa “Campbell” o i volti di Marilyn dipinti in serie da Andy Warhol: è un susseguirsi di “block”, simili tra loro in un reticolato di strade dove cardi e decumani diventano le “street” e le “avenues”.
New York è sorprendente come un grande fumetto di Roy Lichtenstein: sono
stata in discoteca al “Roxy” e all’improvviso in consolle appare
Madonna per presentare il suo nuovo disco, non annunciata, non
programmata. Ma New York è soprattutto kitch come un’opera di Robert Rauschenberg:
da non perdere una visitina in uno dei negozi “Rick’s”. Esilaranti (e
preoccupanti) i costumi per cani: se vuoi travestire il tuo cane da
poliziotto o drag-queen c’è una intera collezione di costumi che puoi
infilare dai pantaloni alle due zampine anteriori del più fedele amico
dell’uomo (e non viceversa visto che un cane non penserebbe mai di
castrare il suo padrone) ed è anche più intelligente dell’uomo (non ho mai visto un cane calpestare una cacca per strada). Kitch è anche un musical che sta furoreggiando a Broadway: “Hair spray”, al Neil Simon Theatre diretto da Jack O’Brien con le musiche di Marc Shaiman.
E’ la versione teatrale dell’omonimo film con Divine, la drag-queen più
che giunonica nei panni (che non si misurano in centimetri ma in metri
quadri) della mamma di una fanciulla di Baltimora con aspirazioni di
starlet, come una nostrana velina.
Per avere
un’idea di come dovesse essere l’isola di Manhattan prima dei
colonizzatori è utilissima una visita al NATIONAL MUSEUM OF AMERICAN
INDIAN nella “Us Custom House”, turismo alternativo, fermata metro
“Bowling Green”. L’ingresso è gratuito e si possono ammirare le
bellissime creazioni fatte con perline colorate come mosaici: zainetti
per portare i bambini, costumi, mocassini, armi...una grandissima
civiltà sterminata da quelli che ci hanno spacciato per eroi nei film
western. New York è denaro, dollari: i grattacieli della finanza sulla
Wall Street (la strada dove il sole non batte mai) sono torreggianti,
la chiesa che si vede sullo sfondo appare minuscola, meno importante.
New
York ti dà le sue soddisfazioni: appena sbarco al JFK Airport mi
prendono subito le impronte digitali e mi scattano una foto prima di
farmi passare la dogana: a tutte le mie amiche potrò dire “Non ho fatto in tempo a entrare negli States che subito mi hanno scattato una foto!”