Parole eretiche. Parole di Abel Ferrara,
regista americano che, quattro anni dopo Il nostro Natale (2001) e al
termine di non poche burrasche economiche e esistenziali, è tornato
dietro la macchina da presa con Mary, insignito del Premio Speciale
della Giuria all’ultimo Festival di Venezia. L’autore de Il
cattivo tenente (1992), The Addiction (1995) e Fratelli (1996) riprende
il cammino dal punto esatto in cui lo aveva smarrito, dal nodo profondo
delle sue ossessioni, il tema della caduta e della redenzione. E lo
esplora con piglio da esegeta blasfemo, nei soliti modi abbagliati e
incoerenti. Ferrara non ha più accanto lo sceneggiatore Nicholas St.
John, spesso accreditato come il motore nascosto dei tormenti
spirituali in cui affogano i suoi personaggi, stavolta la fonte
d’ispirazione è la lettura che il teologo fracese Jean-Yves Leloup ha
avanzato dei vangeli gnostici di Hag Hammadi. Un’interpretazione che,
tradotta nel gergo allucinato di Ferrara, rende Mary l’antidoto più
efficace ai vaneggiamenti teocon e al cristianesimo hard core di The
Passion (2004).
Il personaggio di Tony Childress (Matthew Modine),
regista tanto megalomane da risultare odioso, sembra direttamente
modellato sullo stesso Mel Gibson. Le manifestazioni integraliste che
accompagnano l’uscita di This is my Blood, il «film nel film» diretto
da Childress, riecheggiano invece lo scandalo scatenato a suo tempo da
L’ultima tentazione di Cristo (1988) di Martin Scorsese, ma dietro la
maschera compassata di Modine non è difficile intuire anche il dramma
dell’artista schernito senza diritto di replica, una situazione spesso
familiare al regista di Mary.
Ma limitarsi a valutare il ritorno
di Ferrara nei termini di una semplice confutazione teologica a The
Passion è del tutto riduttivo, perché il «messaggio» veicolato dal film
è sovversivo in sé. Mary, infatti, interroga i fondamenti stessi della
mistica giudaico cristiana affrontando una delle questioni tabù della
religione, ovvero l’esclusione del femminile dalla Parola Divina.
Da questo punto di vista, il
film di Gibson è l’espressione del pensiero dominante, perché le donne
di The Passion corrispondono alle rappresentazioni storiche
tradizionali: la madre, Maria, e la prostituta, Maria Maddalena.
Per non parlare della scelta di conferire il ruolo di Satana a una
donna, mentre la Parola appartiene in maniera indivisibile a Cristo. Al
contrario, Ferrara ci propone un’altra visione del personaggio della
«Maddalena peccatrice», le restituisce a pieno diritto lo statuto di
discepolo di Gesù. Conferisce, cioè, a una figura femminile il
potere di trasmissione della Parola, potere di cui le donne sono state
private per secoli.
Attraverso le discussioni dei teologi, estratte dal talk show televisivo condotto da Ted Younger
(Forest Whitaker), il film propone una serie di possibili spiegazioni
alla negazione del ruolo di Maria Maddalena da parte della chiesa
cattolica. Gli interrogativi religiosi però finiscono per ribaltare la
vita stessa dei tre protagonisti: Tony dubita, Ted sbanda ma è Mary (Juliette Binoche) la sola ad agire risolutamente. L’attrice che in This is my Blood
interpreta la Maddalena, rinuncia a una promettente carriera per vivere
a Gerusalemme, in pieno conflitto israelo-palestinese, e consacrarsi
alla sua ricerca spirituale.
Adottando la forma del
metalinguaggio, Mary assume a + riprese un andamento da documentario,
amplificato dagli interventi di teologi autentici. Una struttura che
potrebbe sembrare ridondante, invece la scelta narrativa di Ferrara
consente di mettere in prospettiva i percorsi paralleli dei personaggi
principali e gli conferisce una portata universale. La storia di Maria
Maddalena, ricomposta dai frammenti del film di Childress, è annodata
di continuo ai travagli esistenziali di Mary, Ted e Tony: si incarna e
si attualizza. Opera celebrale ed emozionante al tempo stesso, a Mary
riesce l’impresa di mettere in scena, con deragliamenti ed epifanie
improvvise, la complessità della questione religiosa. Dalla parte
dell’uomo e, finalmente, della donna.
Mary di Abel Ferrara, in sala dall’11 novembre
SHORT CUTS
La
Shoah, la “moda” coreana, il nuovo Harry Potter, gli italiani (Avati,
Capuano e Melissa P.), l’horror australiano, Tommy Lee Jones… I film
che, per una buona o una pessima ragione, questo mese non dovreste
perdere.
Fateless
di Lajos Koltai, con Marcell Nagy, Bèla Dora
Basato su Essere senza destino, romanzo autobiografico dello scrittore Imre Kertesz, il film di Lajos Koltai
sulla drammatica esperienza di un ebreo ungherese nei campi di
concentramento ha sconvolto e commosso il pubblico dei festival. Uno
Schindler's List misterioso e dolente, con stupefacenti prove d’attori.
Dal 4 novembre
Elizabethtown
di Cameron Crowe, con Kirsten Dunst, Orlando Bloom, Susan Sarandon
Dopo
Vanilla Sky, Cameron Crowe torna alle sue radici, la commedia
romantica, con un film leggero come l’aria, colorato e condito da
musiche ineccepibili. Ma l’estro lieve stavolta s’imballa un po’ e i
buoni propositi diventano vezzi. Dal 4 novembre
L’arco
di Kim Ki-duk, con Han Yeo-reum, Jeon Sunhg-hwan
Kim
Ki-duk ha ormai un credito illimitato. Ferro 3 e La samaritana lo hanno
condotto ad un passo dalla beatificazione cinefila. Eppure la sua
elegia puzza di astuzia, le sue astrazioni si srotolano estenuanti e la
sua misoginia è diventata intollerabile. Speriamo che L’arco scopra
finalmente il bluff. Dal 4 novembre
Kiss Kiss, Bang Bang
di Shane Black, con Robert Downey Jr., Val Kilmer
Esordio
alla regia per Shane Black, lo sceneggiatore di Arma Letale, che
confeziona un thriller scoppiettante nel ritmo e fin troppo denso nel
plot. Rimarrebbe un innocuo divertimento se non ci restituisse, dopo la
cura disintossicante, un formidabile Robert Downey Jr. Dal 4 novembre
In Her Shoes - Se fossi lei
di Curtis Hanson, con Cameron Diaz, Toni Colette, Shirley MacLaine
Cosa
c’entra Curtis Hansom (L.A. Confidential, 8 Miles) con un classico
della chicklit, la letteratura per pollastre? Il romanzo di Jennifer
Weiner, A letto con Maggie, è un best seller tra le fan di Bridget
Jones e, nell’adattamento, fa leva sulla strana coppia Diaz-Collette.
Speriamo che lo spirito d’osservazione di Hanson tenga duro. Dall’11
novembre.
La seconda notte di nozze
di Pupi Avati, con Antonio Albanese, Katia Ricciarelli
Ben
confezionato, nostalgico e paterno. Il Pupi Avati visto a Venezia non
tradisce ma nemmeno osa. Un tour amarognolo in Puglia tra i colori
della fiction anni ‘50 e le esotiche canzoni del periodo. E poi
famiglia, famiglia e famiglia. Il cinema di Avati parla solo questa
lingua e, con storie diverse, non si stanca mai di tradurla in una
calligrafia senza storia. Dall’11 novembre
Melissa P.
di Luca Guadagnino, con Maria Valverde, Geraldine Chaplin
Tratto
da 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire, il vendutissimo
diario-verité di Melissa Panarello, il nuovo film di Luca Guadagnino
rischia molto, ma le dichiarazioni d’intenti e l’attrice protagonista
lasciano ben sperare. La rinuncia alla fedeltà testuale e la rottura
con l’autrice in fase di sceneggiatura potrebbero far scaturire da un
romanzo modesto un buon film. Dal 18 novembre
Le tre sepolture
di Tommy Lee Jones, con Tommy Lee Jones, Barry Pepper,
La
sorpresa di Cannes 2005. Una storia di vendetta e redenzione,
ambientata lungo il confine tra Stati Uniti e Messico, che resuscita le
atmosfere della grande letteratura del Sud. Sostenuto dalla
sceneggiatura non lineare di Guillermo Arriaga e da un occhio acuto per
il dettaglio, Tommy Lee Jones ha realizzato, indirettamente, un
bellissimo omaggio al cinema di Sam Peckinpah. Dal 18 novembre
Wolf Creek
di Greg McLean, con John Jarratt, Cassandra Magrath
L’horror
duro e puro è tornato: dopo l’inglese The Descent, l’australiano Wolf
Creek conferma la rinascita di un genere che sembrava ormai soffocato
dall’autoironia. Nelle lande desertiche di Wolf Creek, l’esordiente
McLean firma un horror morboso e cruentissimo che semina disagio senza
catarsi e regala un malvagio coi fiocchi. Dal 18 novembre
Harry Potter e il calice di fuoco
di Mike Newell, con Daniel Radcliffe, Emma Watson, Rupert Grint
Alla
fine, per la quarta avventura del maghetto di Hogwarts, si è scomodato
un regista inglese, Mike Newell, e vedremo di quale british touch saprà
colorare il mondo beato di Harry Potter. Il torneo dei Tremaghi e la
sfida con il perfido Lord Voldemort garantiscono il pane per gli
effetti speciali. Dal 25 novembre
La guerra di Mario
di Antonio Capuano, con Valeria Golino
Mario,
un "bambino in affido" e in lotta con il mondo, confonde e divide una
coppia borghese. Passato al Festival di Locarno, il film “frugale e
disadorno” di Capuano è denso e toccante, per la sua capacità di far
reagire tra loro dei personaggi complessi, senza sociologismi, buoni
propositi e intenzioni pedagogiche. I vizi perversi del cinema
italiano. Dal 25 novembre
La nuvola capricciosa
di Tsai Ming-liang, con Kang-sheng Lee e Shiang-chyi Chen - distrib. Bim
Allo
scorso Festival di Berlino il film di Tsai Ming-Liang ha ottenuto
meritatamente il premio per l’innovazione artistica. Recuperando i due
personaggi di Che ora è laggiù?, li trascina in una love story
irresistibile, con intermezzi bizzarri, pornoparodie e splendidi numeri
musicali. A dimostrazione di una strepitosa capacità d’invenzione
plastica. Chapeau!. Dal 25 novembre.
Free Zone
di Amos Gitai, con Natalie Portman, Hana Laszlo, Hiam Abbass
La
storia di tre donne: un ebrea americana, un’israeliana e una
palestinese. Tre sensibilità diverse che si confrontano in un on the
road che attraversa una regione avvelenata da una guerra drammatica.
Alla ricerca di «un nuovo modo di comunicare», Gitai opta per un
registro particolarmente iconoclasta ed equivoco, tra poesia tragica e
toni da commedia sarcastica. Dal 25 novembre.
DIETRO LO SPECCHIO SCURO
Intervista ad Atom Egoyan
Di origini armene, Atom Egoyan
nasce in Egitto il 19 luglio 1960. Trasferitosi in Canada con la
famiglia, compie gli studi presso l'Università di Toronto con l’intento
di intraprendere la carriera diplomatica. Debutta sul grande schermo
nel 1984, anno in cui scrive, produce e dirige Next of Kin, cui seguono
Black Comedy (1987) e Mondo virtuale (1989) riflessioni quasi
antonioniane su solitudine, alienazione e onnipresenza dei media. Con
Exotica (1994), Il dolce domani (1996) e Il viaggio di Felicia (1999)
ottiene numerosi riconoscimenti critici e impone un personalissimo
stile di racconto, fatto di ellissi, puzzle e slittamenti temporali.
Nel 2003 Egoyan rende omaggio alle sue radici e realizza Ararat, film
che racconta l'olocausto del popolo armeno. Where The Truth Lies, il
suo ultimo lavoro, è stato presentato con buon successo a Cannes.
Tratto da un best seller di Rupert Holmes scruta gli abissi dello show
business e gli eccessi del sogno americano attraverso la storia di due
intrattenitori di successo coinvolti in un omicidio.
Il film intende indagare l’inconciliabilità tra vita pubblica e vita privata?
Essere
celebrato pubblicamente per un individuo è una pressione tremenda e il
film cerca di analizzare come viene ricostruita la vita di una persona,
in che modo la sua vita diventa una “storia”. Nella nostra società le
celebrità sono quasi degli dei e, come per ogni dio, vogliamo sapere
tutto della loro vita, ascoltare la loro storia, seguirne l’ascesa e la
caduta. Mi affascinava mostrare i momenti pubblici più estremi di Vince
e Lenny, gli eventi in cui tutti li stanno guardando, e rivelare la
dicotomia tra questi atti di generosità pubblica, come la scena del
Telethon, con le azioni più private, ciniche e oscure. Del resto tutti
viviamo questa sorta di dualismo.
Nei tuoi film c’è sempre una segreto con cui bisogna fare i conti…
Il
trauma o la colpa è questo luogo oscuro che ho esplorato in tutti i
miei film: c’è un evento irrisolto con il quale le persone si
costringono a convivere, negando o temendo la sua esistenza. Così il
dramma ruota intorno al tentativo di controllare il trauma, venirci a
patti o trovare una risoluzione. E’ un tema che si ripete. Ogni persona
che scrive o dirige affina, nel tempo, una sorta di struttura costante:
credo che nei miei film alla base ci sia un processo analitico. Per me
l’idea di rivelare gradualmente i diversi livelli del racconto è una
struttura drammatica naturale. Richiede un grande impegno da parte
dello spettatore e una grande curiosità. In questo film è diverso
perché si tratta di un murder mistery: dietro la storia opera anche una
struttura di genere, una cosa nuova rispetto agli altri film.
Anche dal punto di vista stilistico è un film molto più esuberante del solito…
E’
un film inusuale perché di solito non ricorro ad effetti visivi, cerco
di lasciare l’inquadratura molto pulita, ma stavolta volevo creare una
certa separazione tra presente e passato. Per la prima volta ho usato
la luce diffusa e ho fatto molti esperimenti: abbiamo usato una diffusa
bianca e un filtro per ottenere un flou particolare, quasi da cinema
muto. Con questa tecnica le luci bianche si accentuano, esplodono
quasi, e creano un effetto meraviglioso. In termini di composizione
dell’immagine, invece, volevo utilizzare il cinemascope per accentuare
l’isolamento dei personaggi. E’ una cosa strana per me, in genere sono
molto conservatore ma questa volta ho giocato molto con la luce.
Where the Truth Lies di Atom Egoyan, nelle sale dal 18 novembre
LIKE A ROLLING STONES
Non c’è un modo semplice per raccontare la storia di Bob Dylan.
La tela è troppo ampia. Concentrarsi su un singolo aspetto rischia di
sfocare l’insieme del dipinto. La sua è la storia della cultura
americana in trasformazione: musica, politica, arte, letteratura e
poesia. Scavando tra centinaia di ore di footage inedito, registrazioni
rare, interviste e fotografie rivelatrici, No Direction Home - Bob
Dylan, film televisivo diretto da un altro gigante, Martin Scorsese, ne
traccia un bilancio rimarchevole – raccontando la storia del viaggio di
un individuo e collocando la sua storia sullo sfondo più ampio degli
eventi storici.
No Direction Home inizia nell’occhio del ciclone:
Bob Dylan, dal vivo, nel 1966 di fronte ad un pubblico ostile,
infiammato dalla sua decisione di elettrificare la “loro” musica. E
racconta magnificamente, attraverso flashback e illuminazioni, uno dei
percorsi umani e musicali più straordinari dell’intero novecento.
No Direction Home - Bob Dylan di Martin Scorsese, 2 Dvd, Paramount Home Entertinment, 24,99 euro.