La parola “blasfemia” deriva dal greco e significa “discorsi brutti” (“blaptein”, parlare male e “femì”, parlare).
Per Bazar un discorso “brutto” è un discorso “offensivo”
(aggressivo, feroce, distruttivo). Ma non è invece “brutto” un discorso
“diverso”: trasgressivo, disordinato, provocatorio, critico, ignorante,
eccentrico, kitch, controtendente, emarginato, scomodo, confuso,
disintegrato, incoerente, indipendente…etc etc.
In questo
senso Bazar è blasfemo: reinventa, ricontestualizza, attraversa i campi
semantici, spostandoli, disordinandoli, mischiandoli, sovrapponendoli,
per trovare nuove forme e posture, nuovi significati, nuove suggestioni
e fare nuove esperienze della conoscenza, della vita, dell’amore, forse
poi da impugnare.
Bazar parla male dunque: come i bambini, come gli stranieri, come i balbuzienti,
come chiunque dia molta importanza a ciò che sta pronunciando, perché
quella pronuncia gli costa fatica, concentrazione, attenzione, e ne ha
premura, emozione e paura. Di non comprendere. Di non essere compreso.
La
blasfemia di Bazar è un tentativo, una proposta: x immaginare le cose
del mondo in un altro modo, prima con la fantasia e il desiderio, e poi
magari trovando anche il coraggio e gli strumenti di cambiarle,
crescerle, migliorarle.
Un gesto di manipolazione gentile delle
icone della nostra cultura per creare corti circuiti e divergenze nel
nostro immaginario, suggestionandolo, e, nutrendo mente e cuore, far
nascere la voglia di giocare, di pensare, di vivere attivamente e di
creare.
Bazar blasfemo e bugiardo: come lo sono gli specchi che
deformano, le favole per bambini, i sogni nella notte, la luce delle
stelle.
Come lo sono le sorprese.