BAZAR SEGNALA
IL RITORNO A CASA DI
ENRICO METZ –
Claudio Piersanti (Feltrinelli. 204 pp., 15 euro)
In Italia è
così. Ci sono quelli che scrivono benissimo, gli “artisti”, capaci di comporre
fraseggi che riproducono arie eteree, sublimi e piene di rimandi di ispirazione
sinfonica – Busi e Baricco su tutti, autori, tra l’altro, dal
grande seguito di pubblico – ma che ti chiedi se scrivano romanzi,
disinteressati come sono a inquadrare una realtà storica.
E ci sono quelli
come Piersanti, gli “artigiani”, che non temono che l’uso di una prosa
piana possa farli passare per scribacchini incolori, concentrati come sono nel
tentativo di interrogare il proprio tempo.
E’ così, ed è stato così, per
tutto il ‘900. Prosatori
d’arte da una parte, romanzieri
dall’altra. Tutti nella storia della letteratura, ma oggi si
continuano a leggere soprattutto Svevo, Pirandello e
Tozzi. Questo per dire che
Piersanti ha scritto un romanzo molto bello e importante,
che mette a fuoco con grande efficacia non solo il caso particolare di Enrico
Metz ma anche l’epoca che stiamo vivendo. Metz ha avuto una eminentissima
carriera di manager, al seguito dell’Ingegner Marani, un imprenditore dai
progetti talmenti alti che quando cade lo schianto è enorme. Metz, riesce a
defilarsi, tornando nella città di provincia in cui è nato. In fondo è un
avvocato e, inizialmente, il ridimensionamento esistenziale – qualche semplice
pratica, la frequentazione di qualche vecchio amico e un bel po’ di tempo per sé
– hanno un effetto benefico su di lui. Poi, gradualmente, complice il suo
sottrarsi al codice della borghesia cittadina e il non trovare un senso alla
propria parabola umana, scivola in un’abulia
inesorabile, non priva di alcuni slanci che fanno pensare a un suo
riscatto. Uno dei motivi di eccellenza del libro, risiede proprio nel suo
carattere di opera aperta, nella duplicità di risposte valide. Come quando Metz
si chiede cosa significhi invecchiare: “che inizi a capire davvero la realtà o
che sei troppo stanco per affrontarla?” Boh?
Colonna sonora: VINICIO CAPOSSELA Ovunque
proteggi
TALENT
SCOUTING
NELLE VENE QUELL’ACQUA D’ARGENTO
– Dario Franceschini (Bompiani. 104
pp., 6 euro)
O: non si fa in tempo a sentenziare qualcosa –
sullo scorso numero: “I politici non amano la narrativa. Pochi di loro vi si
sono cimentati in qualità di autori” - che puntuale arriva la smentita. E
di che calibro! Infatti, chi ti va a pubblicare un romanzo? Niente popò di meno che... il
coordinatore nazionale della Margherita, l’Onorevole Dario Franceschini.
Che però, nonostante tutto, ha deciso di esordire in sordina: niente comparsate
televisive e subito in edizione economica. Bene ha fatto: segno di rispetto per
il genere romanzo e di fiducia nella forza autonoma dell’opera.
Scritta con
l’urgenza della giovinezza e lasciata lungamente a decantare, una prima prova
già matura. La storia di un amore viscerale, quello per un
territorio che si snoda attorno a un fiume e per la sua gente più semplice,
legata ai cicli vitali della natura. Così, il cammino di Primo Bottardi
alla ricerca di un vecchio amico, cui deve una risposta da più di quarant’anni,
diventa la scusa per un viaggio a ritroso nel tempo, un risalire la corrente
esteriore del fiume e quella interiore della propria vita. Fatte le debite
distanze - soprattutto geografiche - siamo dalle parti del conradiano Cuore di
tenebra, con l’amico Massimo Civolani inconsapevole Kurtz. Ma la vera
vocazione di Franceschini sta nella sua attitudine digressiva rispetto al nucleo
centrale, quando, con pochi tocchi intrisi d’un lirismo tenue, ricrea una
moltitudine di situazioni epifaniche di segno malinconico. Il fantasma che deve
averlo spinto a scrivere è quello dell’inconsistenza del reale in mezzo alle
nebbie padane: perché “ogni cosa che non si vedeva non esisteva
più…”
Colonna sonora:
AMALIA GRE’ Per te
PENSARE LEGGENDO
PASOLINI – Davide Toffolo
(Coconino Press. 151 pp., 14 euro)
La riapertura di un caso
giudiziario. L’insorgenza di un nuovo luogo comune (“però: come ci manca un
intellettuale come lui”). Un profluvio di pubblicazioni. Ecco in sintesi i
risultati del trentennale dell’assassinio di Pier Paolo Pasolini. Pensatore scomodo. Per gli altri: forse ancor più che per i suoi
detrattori, per quelli che lo consideravano un punto di riferimento. E per se
stesso: doveva costargli una gran fatica quella continua aderenza alla realtà e
il vedere oltre, sorta di predestinazione alla quale sentiva di non potersi
sottrarre.
Come un supereroe
impossibilitato a rinunciare ai suoi superpoteri.
Ci voleva un bravissimo disegnatore.
Ci
voleva un musicista.
Ci voleva un allegro ragazzo morto.
Ci voleva un
giovane uomo friulano, che si mettesse sulle tracce di un nonno putativo morto
troppo presto, per ridargli voce.
E davvero ci si
accappona la pelle nel constatare la chiaroveggenza del Pasolini che
afferma: “La mia indipendenza che è la mia forza, implica la solitudine che
è… la mia debolezza”.
Impressiona l’attualità de “La ricotta”, una
pellicola del 1963: “Giornalista: - Che cosa ne pensa della società italiana? Regista:
- Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa […] L’uomo medio
è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista,
qualunquista”. O ancora: “L’uomo tende ad addormentarsi nella
propria normalità, perde l’abitudine di giudicarsi, non sa più chiedersi chi è…e
allora va creato, artificialmente, lo stato di emergenza. A crearlo ci pensano i
poeti, questi eterni indignati, questi campioni della rabbia intellettuale,
della furia filosofica”. E Toffolo, da vero campione in questo campo, lo ha
creato.
Colonna sonora: TRE ALLEGRI
RAGAZZI MORTI Il sogno del gorilla bianco
UPPER READERS
IL MESSIA
EBREO – Arnon Grunberg (Instar Libri. 456 pp.,
16 euro)
Se esistesse una lobbie del lettore forte – quello
che, tanto per tenersi su, si scola un tot di libri l’anno – imporrebbe agli
scrittori un paio di regole tassative: non fare intuire troppo presto dove il
romanzo andrà a parare e evitare che il manufatto ricalchi pedissequamente le
fattezze di altri usciti in precedenza. Ebbene, tale lobbie riserverebbe una
menzione speciale per questo libro. Perché? Bè, tanto per cominciare, Il messia ebreo non è ebreo.
Anzi, a volerla dir tutta, suo
nonno è stato un solerte servitore delle SS.
Ma non si pensi che Xavier
Radek si dia come missione consolare il popolo ebraico per espiare colpe
parentali. Semmai la figura del nonno cui si ispira gli fornisce la
determinazione necessaria a conseguire l’obiettivo che si è prefissato.
Essendo impossibile diventare ebrei, soprattutto se si è figli di una coppia
di gentili di Basilea, il primo passo è far credere di esserlo. E per risultare
più convincenti, farsi coincidere da un vecchio quasi cieco, rischiando di
lasciarci le penne. Diventare amico di Awromele, figlio del rabbino, scoprendo
il desiderio omosessuale. Pensare che “nulla
è più insopportabile dell’amore”. Sfuggire alle attenzioni di un
patrigno poi è facile, se da neonati si è riusciti a sopravvivere ai tentativi
di soppressione materni. Tentare la carriera di pittore a Amsterdam. Dopo il
fallimento, raggiungere la Terra Promessa, e da lì, con una escalation tanto
imprevedibile quanto inarrestabile, influenzare le sorti dell’umanità. E se Il
messia ebreo non fosse neanche un messia? Se al suo posto lo fosse il pellicano
che campeggia in copertina?
Ormai lo sappiamo: l’olandese volante
Grunberg è uno scrittore imprendibile. Un giocoliere raffinato che si diverte a
spiazzare il lettore. Cui è dolce essere beffato da tale mago.
Colonna sonora: BELLE AND SEBASTIAN The life
pursuit
OLD
FASHION
RACCONTI DI UN UOMO CHE HA
FRETTA – Emanuel Carnevali (Fazi Editore. 198 pp., 15
euro)
Era un uomo che aveva fretta, Emanuel
Carnevali. Fretta di consumare la vita, per conoscerla meglio e tutta. Ne
fagocitava così tanta, che poi doveva espellerla.
I brandelli del rigetto, a
volte ancora interi per non avere avuto tempo di metabolizzarli, ora
corrosivamente acidi, quasi sempre così veri da risultare rivoltanti. In fondo
il suo – nato a Firenze nel 1897, trasferitosi a 17 anni a New York - fu il destino tipico dell’emigrante: apolide, mai completamente integrato
nel nuovo paese, disconosciuto da quello d’origine. Negli Stati Uniti
condusse vita grama, tra occupazioni saltuarie e stenti, tentativi di
inquadrarsi (il matrimonio) e fughe nella bohème dell’epoca (non dimentichiamo
che si era in quella passata alla storia come Età del Jazz). Fu invaso dal tarlo
della letteratura, che gli impose l’obiettivo - niente popò di meno che
– di rifondare le lettere americane. Sfida
ciclopica e fame, minimi riconoscimenti e senso di fallimento,
malattia (encefalite letargica) e disastri familiari, un po’ come Modigliani a
Parigi. Con la differenza che Modì, post mortem sarà universalmente celebrato.
Cosa non accaduta finora a Carnevali: sulle ragioni si interroga la bella
introduzione di Millet. Forse, semplicemente, ha scritto troppo poco: un romanzo
– Il primo dio – una manciata di racconti, delle poesie e qualche pagina
saggistica.
Certo alcune cose sono mirabili: il racconto
straziante dell’autodistruzione della zia, il paragonare l’amore tra due
persone alla colomba cui danno asilo, la descrizione della propria casa come
spazio dell’anima. Arricchiscono la figura di Carnevali le lettere al padre (tra
Kafka e Cecco Angiolieri) e un diario redatto quando ormai era gravemente
malato. Morirà a soli 45 anni.
Colonna
sonora: TORTOISE & BONNIE PRINCE BILLY The brave and the
bold
BAZAR COLLECTION
GLADIATORI – Antonio Franchini
(Mondadori. 181 pp., 15 euro)
Cosa pensate del crescente
successo del “wrestling”? Che sia uno spettacolo insulso,
tipicamente americano, adatto a un pubblico di bambini e adulti sottosviluppati?
Mmmm...: troppo facile cavarsela
così, senza tentare di capire le motivazioni degli estimatori. Direte
voi: eppure si tratta di una recita, che risponde a un evidente copione
predeterminato. E per giunta, con maschere da commedia dell’arte: il buono, il
brutto e il cattivo. Antonio Franchini, ruvida tempra di scrittore di
sfide, ce ne dà la giusta definizione: “una realtà parallela ricca di
dettagli” che piace per il bisogno contemporaneo di “lasciarsi
avviluppare da un’illusione sospesa”.
Franchini fa di più con questo
prezioso libro. Inseguendo una personale ossessione, osserva che nell’uomo moderno esiste un’esigenza individuale di misurarsi nello
scontro fisico. Una pulsione
ancestrale che lo rende simile - nell’epoca di Internet e del digitale terrestre
- al gladiatore romano. E’ a questa istanza che Franchini dà
corpo. Con un complice altrettanto eccentrico: il fotografo Piero
Pompili, uno che da anni non immortala altro che pugili e lottatori. Insieme, battono le palestre di periferia, ring anonimi, incontrano in
squallidi bar esseri umani pestati dalla vita. Raccolgono voci al
margine. Fissano corpi statuari o al contrario bolsi. Sguardi bollenti o
bolliti.
Un libro necessario, forte. Non per
tutti. Non tutti per esempio potranno reggere l’inventario del
corpo del “Toro del Golfo”: una sequela di ossa rotte, organi deturpati e
orribili cicatrici. La vita come lotta per la sopravvivenza. Alla fine, se c’è
un rimpianto, è che un po’ di foto in più non avrebbero
guastato.
Colonna
sonora: ISOBELLE CAMPBELL & MARK LANEGAN Ballad of the broken
seas